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Enrica Porcari, prima Cio nella storia del Cern: “Sono un’umanista. E la mia forza sono le domande”

Enrica Porcari, prima Cio nella storia del Cern: “Sono un’umanista. E la mia forza sono le domande”

Si definisce una connector. È una che fa domande. È appena stata nominata CIO, Chief Information Officer del CERN di Ginevra. Un nuovo ruolo apicale e strategico in quello che è uno dei più avanzati centri per la ricerca scientifica e l’innovazione del mondo. È la prima. È una donna. È italiana. E la notizia della sua nomina diventa ufficiale in diretta, proprio mentre la stiamo intervistando. È il 25 giugno 2025. Si chiama Enrica Porcari. Da quattro anni guida il Dipartimento di Information Technology del CERN, dove coordina l’infrastruttura tecnologica che collega dati, esperimenti e persone.

Dopo Fabiola Gianotti, che sta per concludere il suo mandato da direttrice generale, e con l’arrivo di Mark Thomson ecco che un’altra donna italiana entrerà, a gennaio 2026, ai vertici del CERN. Guiderà la strategia e la governance in aree come la cybersecurity, la privacy dei dati, l'intelligenza artificiale, le tecnologie quantistiche.

E la notizia ancora più sorprendente? Non è una fisica, né un’ingegnera, come potrebbe sembrare scontato. È un’umanista che per trent’anni, prima di arrivare al CERN, ha attraversato il mondo portando innovazioni e infrastrutture digitali nei luoghi più fragili della Terra. «Questo incarico è una soddisfazione enorme. Il culmine di una carriera cominciata in maniera insolita, ma di grande impegno e crescita personale. La prima cosa che ho fatto è stata chiamare i miei figli. Ho dato loro la notizia e poi ho chiesto: “Ma quando eravate piccoli… vi ho tolto qualcosa?”».

Già in questa domanda c’è molto di lei. La sua è la storia straordinaria di una donna che si è reinventata in mille contesti diversi, seguendo un filo rosso: la relazione tra essere umano e tecnologia. Dalla FAO al PAM, programma alimentare mondiale, dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo ai centri internazionali di ricerca agricola del CGIAR, Enrica Porcari ha ricoperto incarichi di altissimo livello, lavorato in zone di emergenza, costruito infrastrutture digitali per connettere comunità isolate e soluzioni digitali per l’agricoltura. Ha ideato soluzioni tecnologiche per favorire l’inclusione delle donne, anche in contesti estremi come l’Afghanistan.

E poi, cinque anni fa, mentre era il CIO al Programma Alimentare Mondiale, una delle più importanti organizzazioni umanitarie al mondo, vincitrice del premio Nobel della pace nel 2020, arriva la chiamata dal CERN: «Pensavo volessero propormi una visita dell’acceleratore. Invece mi hanno detto: “Vogliamo che lei partecipi alla selezione per guidare il Dipartimento IT”». Non era uno scherzo. «Il CERN cercava una persona capace di dare una nuova direzione, con un’idea chiara su come far evolvere l’informatica verso il futuro. Con pensiero critico».

Rewind. Tiburtina, Porcari studia sociologia e cultura a Milano e il suo primo lavoro è guida nel Parco Nazionale d’Abruzzo. Sta scrivendo una tesi sull’impatto dell’uomo sulla natura, quando, in seguito a un incontro fortuito a cena, riceve una proposta: «Vuoi lavorare alla FAO?». Era una prima proposta di lavoro («avevo 25 anni e portavo i calzoncini corti»), e Enrica risponde: «Che cos’è? E quanto paghi?». Quell’uomo era il direttore della divisione informatica della FAO. «Mi disse: “Ho bisogno di qualcuno che faccia riflettere gli ingegneri e chieda loro: perché sviluppi questa tecnologia? Cui prodest? Mi sembri la persona giusta”. Fare le domande era una cosa che mi piaceva. E ho accettato».Da quel momento, la sua traiettoria professionale sarà sempre qui: nell’indagare il rapporto tra uomo e tecnologia. Fa dei giri immensi. Borsista del Reuters Digital Vision Fellowship Programme dell'Università di Stanford, Enrica ha conseguito poi due master in Scienze sociali e Finanza. Ogni cinque anni cambia lavoro.

Fino a quando, proprio cinque anni fa, durante il Covid, il Cern bussa alla porta.

«Ero l’outsider umanista chiamata a guidare un dipartimento di eccellenza tecnologica. E il fatto che venissi da un altro settore spingeva le persone a passare il tempo con me per spiegarmi tutto». Ha portato domande nuove, ha costruito connessioni, ha guidato un cambiamento culturale.

Poi si ferma e spiega. «L’Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare è il più grande laboratorio di fisica delle particelle al mondo. Qui milioni di particelle vengono accelerate, collidono e generano dati che aiutano a svelare i segreti dell’universo: dalle origini del cosmo alle leggi fondamentali della natura. L’enorme quantità di dati prodotta, si parla di qualche exabyte, è impressionante: ogni giorno, il data center principale elabora oltre 1 petabyte (PB) di informazioni. Questi dati vengono raccolti, selezionati e trasportati ai Centri Dati tramite una rete di comunicazione sofisticata, e poi distribuiti a circa 160 centri di ricerca in più di 40 paesi».

Tutto succede in una ricerca continua di innovazione e eccellenza. È qui che più di trenta anni fa è nato il Web. Dietro questa complessità tecnologica c’è il dipartimento IT, guidato da Porcari. «Entrare in un ambiente dominato da fisici e ingegneri senza essere una tecnica è un po’ come sentirsi sempre in sfida con se stessi. Eppure, questa differenza si è rivelata la mia più grande risorsa. Chiedevo a tutti: perché stiamo lavorando a questa tecnologia? Come lo facciamo? Come possiamo assicurarci di non fare danni?Il CERN è un luogo di eccellenza, dove si cercano risposte fondamentali sull’origine del mondo. Ci sono tecnologie e ingegneri di altissimo livello e io non sono mai messa in competizione con loro. Il mio compito è creare un ambiente in cui loro possano dare il meglio. Li aiuto a porsi le domande giuste e a cercare le risposte».

Se le chiedi qual è il suo segreto e di come fa un’umanista a parlare con i tecnici, Porcari risponde: «Me lo chiedono in tanti, ma non ho una ricetta. Ho forse tre ingredienti: curiosità, coraggio e passione. Sono una generalista strategica. Ho sempre adorato le reti, creare connessioni. Mettere insieme persone e tecnologie è parte di chi sono. Non è facile. Bisogna mettersi in gioco ogni giorno. È come camminare sempre su un filo tra la zona di comfort e la paura che qualcuno ti consideri quella che viene da un mondo diverso. Soffro della famosa sindrome dell’impostore. Che oggi, però, è diventata la mia più grande alleata, perché mi spinge a fare sempre meglio».

Il Cern è un luogo spesso preso a modello. «Abbiamo creato un ambiente dove possiamo davvero sviluppare nuove idee tecnologiche, come, per esempio, quelle legate alla rivoluzione quantistica. Oltre a produrre innovazione, il Cern è per sua natura una piattaforma di honest brokering, “brocheraggio onesto” tra mondi diversi: la tecnologia, il settore privato, i grandi istituti di ricerca. Insieme creiamo soluzioni. Non c’è un primus inter pares: siamo tutti intorno allo stesso tavolo, con un problema da risolvere, e lavoriamo insieme. I nostri principi: non militarizzazione, apertura, condivisione, sono fondamentali. E in un momento di accelerazione così rapida dello sviluppo tecnologico, è cruciale non dimenticarli. Il Cern offre una piattaforma concettuale unica: un luogo in cui innovazione, etica e collaborazione sono parte dello stesso disegno. E il suo ruolo è fondamentale in Europa».

L’intelligenza artificiale? «Ha il potenziale di rivoluzionare in modo positivo campi come la medicina, la biotecnologia, la fisica. E con l’avvento della seconda rivoluzione quantistica le opportunità si moltiplicano. Potremo avere l’opportunità di eliminare malattie finora incurabili e di vivere meglio. Ma è ancora più urgente restare vigili. La tecnologia è nelle mani di tutti. E rischia di provocare un appiattimento culturale: quante cose vediamo scritte dai chatbot. Ma il vero rischio forse è quando quell’appiattimento diventa la verità. Il mondo ha bisogno, oggi più che mai, del nostro ruolo di honest brokering. Di qualcuno che sappia dire: questa è la verità, questa è la realtà. E possa verificarla. Per questo è fondamentale poter contare su organizzazioni di cui fidarsi. Questo è il momento in cui l'essere umano deve ritornare alla sua umanità. Non possiamo lasciare tutto nelle mani della tecnologia».

In Italia spesso si parla di carenza di profili STEM: solo il 23,49% dei laureati lo è in queste materie (fonte TEHA Global Innosystem Index), spesso però ci si dimentica del contributo che il sapere umanistico può dare allo sviluppo tecnologico.

Qual è la prima cosa che farà con il tuo nuovo incarico? «L’incarico inizierà il 1º gennaio. Fino al 31 dicembre resto alla guida del Dipartimento IT, poi passerò il testimone. Il ruolo del CIO è un’evoluzione di qualcosa che, con il mio team, io stessa ho contribuito a creare prima in seno al dipartimento e ora per tutta l’Organizzazione. Molte delle nuove attività di cui avrò la responsabilità continueranno a seguire l’impostazione che ha guidato tutta la mia vita. Per me, tutto ruota attorno alle connessioni».

Cosa ha imparato nella tua vita, nella tua carriera, che può servire a tutti noi?

«Ad avere coraggio. A fare domande. A guardare anche le cose difficili con uno sguardo positivo. Ho imparato che ogni grande cambiamento nasce da piccoli gesti. Lo dico spesso ai miei figli: fare del bene, anche in scala ridotta, ha un impatto. Ho sempre creduto nella famiglia come valore fondante. E credo che oggi, in un mondo sempre più automatizzato, questo valore sia ancora più centrale. Spero che le nuove generazioni non abbiano mai paura di reinventarsi. Io l’ho fatto molte volte. A volte fa paura. Ma è anche divertente scoprire che puoi cambiare rotta, che puoi ricominciare. Non significa arrendersi. Significa avere il coraggio di evolversi».

E poi, un messaggio all’universo femminile. «Le donne non hanno bisogno di spinte. Hanno bisogno di opportunità eque per poter dare il meglio. Io non ho mai preso scorciatoie. Non ho mai accettato l’ascensore, come si dice. Non ho mai favorito le donne solo in quanto tali. Ho affrontato decisioni complesse, ho fatto sacrifici. Non mi hanno regalato la carriera. Sono una madre, ho avuto genitori che sono invecchiati e ho rispettato le mie responsabilità. Non ho abbandonato tutto per fare carriera. Continuo a fare sacrifici e la cosa bella è che ho capito che non bisogna aver paura di mostrare la propria vulnerabilità. Vivo ogni giorno in equilibrio instabile tra comfort e paura di non essere all’altezza. Sono stata criticata per aver lasciato a casa i miei figli per aiutare bambini in Africa. Forse è il momento di accettarsi. Accettare che le difficoltà in realtà sono opportunità di crescita. Piano piano ci si abituata alla scomodità. A chi è nel mezzo della tempesta, dico: it will be fine. Ce la faremo. Ci vuole una rete. Una comunità. It takes a village. Ci vuole un villaggio intorno. Soprattutto ora, in un’epoca dove le persone sempre di piu’ si isolano nelle loro amicizie virtuali, in relazioni effimere e digitali, abbiamo bisogno di tornare a legami umani profondi. Nella dimensione umana, giornaliera. A ciò che conta davvero».

Enrica Porcari non ha mai avuto paura di cambiare rotta. Ora si prepara a farlo di nuovo. «È il mio ultimo giro di svolta, poi tornerò in Italia». Sorride.

Al Cern guiderà una nuova trasformazione profonda: umana e tecnologica insieme. «Perché anche la tecnologia, per essere davvero utile, ha bisogno di connessioni umane. E poi, dopo Giannotti è bello contribuire al futuro del Cern da italiana».

La Repubblica

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